Aquila nella neve: se la storia non la scrive Hollywood

Quando ti ritrovi a dover faticosamente ricordare a te stesso che il romanzo che stai leggendo è solo frutto della fantasia di uno scrittore, e non una reale cronaca di guerra, sai di aver messo le mani sul libro giusto.
Aquila nella Neve, di William Breem, è considerato un capolavoro del genere storico, per buoni motivi. Pubblicato nel 1970, il libro catapulta il lettore nel quinto secolo tra le legioni dell’Impero Romano, al fianco di generali aggrappati ai valori di un mondo che sta morendo e capi barbari dalla dubbia lealtà. Il tutto sotto il manto di neve che copre la tetra provincia di Germania.
Il romanzo racconta la vita da soldato di Maximus, generale romano che, dopo una lunga permanenza sul Vallo di Adriano al confine settentrionale della Britannia, racconta in prima persona l’ultima missione impossibile della sua carriera: presidiare la frontiera sul Reno, in Germania, e difenderla per un anno.
Il compito richiederà a Maximus ben più della sua semplice abilità di comandante. L’impero romano di Cesare e Ottaviano è solo un ricordo: gli unni imperversano per l’Europa e l’eco delle loro razzie si fa sentire anche a occidente. I vandali e i visigoti di Alarico sono in fermento e, per mantenere il controllo delle frontiere in Gallia e Germania, Roma ha bisogno di allearsi alle tribù barbare che occupano le terre a est del Reno. Alani, burgundi e franchi hanno giurato fedeltà all’imperatore, una lealtà costantemente messa alla prova da feudi, diatribe e tributi mancati.
Non saranno le schermaglie sul fiume a determinare l’esito della missione di Maximus, ma la diplomazia e, soprattutto, la logistica. Lontani dalla frontiera, l’opulenta città di Trevi (pardon, Augusta Trevorum) e i prefetti della Gallia si mostreranno infatti sordi alle richieste di aiuto della legione al confine, fino al momento dell’inevitabile scontro frontale.
Al di là della trama, coronata da un finale drammatico ed epico, stupisce la minuziosità dei dettagli che arricchiscono e danno profondità alla storia, senza mai appesantirne la narrazione.
Mancano infatti sia il fastidiosissimo wikipedismo, comune a tanti autori del genere, che la volontà di attualizzare, politicizzare o moralizzare fatti storici accaduti quasi due millenni fa. Dalla quotidianità dell’accampamento romano, ai rapporti tra i vecchi pagani e la nuova religione ufficiale dell’impero, tutto è ottimamente bilanciato, e offre un dipinto perfetto della vita militare al confine di un impero in declino.
Chi è abituato alla spettacolarizzazione della storia in stile Hollywoodiano sentirà la mancanza della solita donna-forte-ma-oppressa-dalla-società, e del Rambo che abbandona la formazione per affrontare da solo 14 guerrieri goti. Se vi piace la storia romana e queste lacune non sono un problema, questo è il libro per voi.