Federico Mosso e l'omicidio di Enrico Mattei

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Enrico Mattei è stato ucciso. Le motivazioni sono chiare, i mandanti possono essere facilmente indovinati, ma l’omicida, la persona in carne ed ossa, che preme il grilletto, non verrà mai scoperto. L’omicida appartiene al mondo della speculazione e della fantasia. L’omicida è il protagonista di Ho Ucciso Enrico Mattei, romanzo di Federico Mosso che narra le avventure dell’agente Joe, l’assassino dietro all’apparente incidente aereo nel quale, il 27 ottobre 1962, l'imprenditore italiano perse la vita.

E' sostanzialmente la cronaca di una pedina, di un piccolissimo ma fondamentale ingranaggio nella macchina della Storia d’Italia. Una macchina che, tra gli anni 50 e 60, rischiava di non rispondere più ai comandi del pilota d’oltreoceano, che stava iniziando a correre autonoma, a trovare una sua strada. Una macchina che andava riportata sui binari tracciati per lei dal padrone postbellico.

L’assassino, la pedina, è un ex-agente del vecchio OVRA, il servizio d’intelligence dell’Italia fascista, un italiano opportunista che riesce a cambiare casacca e a rivendersi, al momento giusto, al miglior offerente: l’OSS americano, il padre della più nota CIA.

I liberatori, infatti, non fanno in tempo a vincere una guerra, che già un nuovo conflitto si delinea all’orizzonte. La dottrina Monroe, l’isolazionismo americano, è ormai storia. L’Europa è definitivamente nell’orbita degli interessi degli Stati Uniti. L’Italia, porto mediterraneo proiettato verso i Balcani e il Nord Africa, è una casella irrinunciabile: va tenuta al guinzaglio. La nuova sfida per il suo controllo ha molteplici fronti, e quello energetico non può essere sottovalutato.

Gli interessi sono troppo grandi, il rischio di perdere un Paese che si sta rapidamente modernizzando è reale. Talmente reale da avere un nome e un cognome: Enrico Mattei. Visionario, imprenditore, imbonitore… e incontrollabile. È un rischio per gli equilibri che si delineano con la guerra fredda.

Mattei guarda a est, oltre la cortina di ferro. Mattei sbircia a sud, tratta con le ex-colonie franco-britanniche in libertà, senza badare alle delicate regole non scritte della politica internazionale. Mattei è solo un affarista, eppure parla di indipendenza energetica, interesse nazionale, protezionismo e monopolio - parole pericolose. Mattei va messo a tacere per sempre, e l’agente Joe è l’uomo giusto per farlo.

Si entra così nel vivo di una storia di indagini, pedinamenti, pettegolezzi e complotti, nella quale fanno da comparsa personaggi storici e inventati, sempre perfettamente calibrati, che danno una sinistra credibilità all’intera vicenda.

La struttura della narrazione miscela alla perfezione realtà e finzione: si va dalla storia all’avventura, dall’avventura alla visione, dalla visione alla storia, e così via. I capitoli scorrono veloci, tra episodi di fantasia e di cronaca, tra aneddoti sulla vita personale dell’omicida, e nomi noti, arcinoti, della politica italiana e internazionale.

Alla fine, la parabola del sicario Joe si conclude amaramente: Il crimine non paga, nemmeno quando è sponsorizzato da funzionari stranieri in giacca e cravatta. Un epilogo che, se si vuole, riassume la parabola del Paese dal 1943 a oggi.

Drogati dall'improvviso benessere economico, gli italiani del dopoguerra hanno venduto l’autonomia del proprio Paese. Il vero conto da pagare, i veri rimpianti, arriveranno solo molto più tardi.

Ho ucciso Enrico Mattei funziona come libro di storia. Funziona come esperimento di fantapolitica. Funziona come romanzo. Funziona e basta.