Il Movimento Liturgico - il Concilio Vaticano II

Seconda Parte: il CV II e il Novus Ordo Missae
Indice
Leggi la prima parte della storia del movimento liturgico.
La Commissione Preparatoria
Si dice spesso che il Concilio non ha mai chiesto né voluto la riforma liturgica. In realtà è dal 1960 che Giovanni XXIII si era espresso in favore dei futuri cambiamenti: “Siamo giunti alla decisione di dover presentare ai Padri del futuro concilio i principi fondamentali riguardanti la riforma liturgica” (Rubricarum Instructum).
La commissione preparatoria istituita dopo l’annuncio del Concilio, nel 1959, si era occupata di interrogare i vescovi di tutto il mondo sulle questioni che sarebbero poi state oggetto di discussione: la liturgia è il tema più citato tra i propositi espressi dall’episcopato. In Francia si esprimono in tal senso 51 vescovi su 84.
Come visto nella prima parte della storia del movimento liturgico, si arrivò al Concilio solo dopo aver preparato il terreno per la riforma con decine di anni di prassi liturgica ed errori ideologici non sufficientemente arginati dalla Santa Sede. Per comprendere il clima di quegli anni, citiamo qui l’introduzione del libro L’avenir de la liturgie (1961), di Dom Adrien Nocent, preside del Sant’Anselmo.
“Non bisogna tuttavia immaginare che tutti i cattolici fremano di speranza nell’attesa di un concilio in cui saranno studiate le questioni poste dalla vita liturgica della Chiesa ai nostri giorni. Ve ne sono ancora, e più di quanto si possa credere, che si chiedono perché sia necessario modificare usanze ormai antiche, ben radicate nelle loro vecchie abitudini. In loro c'è una feroce opposizione a tutto ciò che potrebbe turbare una religione che hanno adattato alla propria misura e nella quale assaporano un compiacimento maniacale, come ci si sente pigramente a proprio agio in un vecchio abito e in scarpe logore. Perché turbare pratiche nelle quali si trovano bene e dalle quali credono di trarre un reale profitto spirituale?
All’opposto di questo immobilismo, vi è un altro atteggiamento, troppo impaziente, a volte insufficientemente illuminato, che si rallegra in anticipo di ogni «iconoclastia» e di ogni incendio delle vecchie idolatrie. Essa confonde la routine pigra con la tradizione legittima e autentica, affezionandosi al cambiamento per se stesso, come suprema manifestazione di vitalità. Bisogna tuttavia, a volte, scusarne la violenza e spiegarla con un’angoscia pastorale che stringe il cuore.”
C’è il solito cerchio-bottismo, il solito tentativo di conciliare due posizioni contrarie non per frenare definitivamente quella progressista, di cui “bisogna, a volte, scusarne la violenza”, ma solo per rimandare a più avanti le riforme richieste.
Si noti che nonostante le solite “ragioni pastorali” che giustificano l’intera operazione, la commissione De Sacra Liturgia vede al suo interno solo una minoranza di vescovi. La gran parte dei membri è infatti composta da “esperti”.
Alla fine, il primo febbraio 1962, il presidente Cicognani, disperato, verrà costretto da Giovanni XXIII a firmare il documento preparatorio sulla liturgia avanzato dal segretario Annibale Bugnini. Morirà 4 giorni dopo.
Il 22 ottobre 1962 inizia l’esame generale del piano proposto dalla commissione. Il Card. Ottaviani sottolinea già in questa occasione la pericolosità della revisione dell’Ordo Missae e sembra accusare tacitamente Bugnini, affermando di trovare nel piano proposto al Concilio delle parti di testo che non erano presenti al momento dell’approvazione preventiva da parte del Sant’Uffizio.
È in questa fase che inizia a consolidarsi la conoscenza tra Bugnini, Montini e il cardinale Giacomo Lercaro.
Paolo VI e la Sacrosanctum Concilium
Giovanni XXIII muore il 3 giugno 1963, ma lo “spirito ecumenico”, ereditato a sua volta da Dom Lambert Beauduin, ancora una volta sopravvive. Il cardinale Konig dirà che “chiunque sarà il prossimo papa, non potrà abbandonare la via di Giovanni”. Il favorito per la successione è Montini, ora Paolo VI. Sarà il primo pontefice a decidere l’abbandono della cerimonia di incoronazione e la tiara papale, in uso dall’VIII secolo.
Il 4 dicembre 1963, quattrocento anni dopo la conclusione del Concilio di Trento e come a voler concludere definitivamente l’epoca tridentina, il Papa promulga la "Sacrosanctum Concilium”.
Come già notato da molti, l'enciclica può essere letta in senso ortodosso e conservatore, come può essere interpretata a favore di qualsiasi innovazione progressista. A titolo esemplificativo, segue l’articolo sull’impiego della lingua volgare:
“Nelle messe celebrate con partecipazione di popolo si possa concedere una congrua parte alla lingua nazionale, specialmente nelle letture e nella « orazione comune » e, secondo le condizioni dei vari luoghi, anche nelle parti spettanti al popolo, a norma dell'art. 36 di questa costituzione. Si abbia cura però che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'ordinario della messa che spettano ad essi. Se poi in qualche luogo sembrasse opportuno un uso più ampio della lingua nazionale nella messa, si osservi quanto prescrive l'art. 40 di questa costituzione.”
Posto che si parla di una “concessione”, dunque di qualcosa di straordinario, è impossibile stabilire oggettivamente cosa significhi “congrua parte”, o come il parroco debba aver cura di verificare che i fedeli sappiano recitare e cantare in latino, e ancora cosa debba fare in caso contrario. Si ricordi peraltro che meno di due anni prima, il 22 febbraio 1962, Giovanni XXIII aveva affermato che la Chiesa avrebbe avuto bisogno di “una lingua, non volgare, universale e fissa”.
Ancora, dopo una giusta premessa, “Benché la liturgia sia principalmente il culto della Divina Maestà”, la frase seguente mina il principio della prima: “...tuttavia essa comporta un grande valore pedagogico per il popolo di Dio”. Sarà quest’ultima visione ad essere sviluppata nella Costituzione.
La premessa è lì unicamente per tranquillizzare e ottenere il consenso dei tradizionalisti, e sembra raggiungere lo scopo: la costituzione verrà approvata praticamente all'unanimità, con 2147 voti contro 4.
Sacrosanctum Concilium può facilmente incoraggiare le interpretazioni progressiste che porteranno alla degenerazione successiva. All’articolo 40, ad esempio, già si prevede e si parla esplicitamente di “progressivo adattamento liturgico”. Adattamento a chi? Alle diverse culture e ai diversi popoli, dunque, in sostanza, all’uomo.
Dom Bernard Botte affermò che “la Costituzione doveva essere il coronamento degli obiettivi del movimento liturgico.” In realtà, siamo giunti all’estremo opposto degli ideali di Dom Gueranger che avevano fatto nascere il movimento liturgico. La Liturgia si deve adattare perchè non è più per Dio, ma per l’uomo.
Sacrosanctum Concilium stila per il momento una serie di linee guida che, ancora, non impongono a nessuno alcunché, e che semplicemente stilano i principi generali per le riforme successive. Eppure, nel concreto, la nuova Costituzione pare confermare e persino incoraggiare le riforme e le sperimentazioni del singolo celebrante abituato a dar sfogo alla fantasia da 20 anni di prassi e di movimento liturgico. L’articolo 22 verrà fondamentalmente ignorato: “assolutamente nessun altro, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica. ”
Il Novus Ordo Missae
Il 3 Gennaio 1964, Bugnini viene nominato segretario del nuovo Consilium ad exsequendam Constitutionem de sacra Liturgia, l'organismo indipendente dalla Sacra Congregazione dei Riti che, dal ‘64 al ‘69, rispondendo solo al Papa, avrebbe applicato le direttive della Sacrosanctum Concilium per produrre il nuovo rito.
Tra le primissime modifiche alla Messa antica proposte ci sono l’uso facoltativo del volgare e l’eliminazione del salmo Judica Me e delle preghiere di Leone XIII. Domenica 7 marzo 1965 Paolo VI celebra pubblicamente una Messa con numerose parti in lingua volgare e coram populum. Il 4 marzo 1967 (Istruzione “Tres abhinc annos”) si autorizza la preghiera del Canone tradotta e a voce alta.
Il vento della rivoluzione liturgica non si arresta. Nell’ottobre 1967 una prima vera bozza del novus ordo, la cosiddetta “messa normativa”, sarà celebrata in italiano da Bugnini davanti ai vescovi riuniti a Roma. Le reazioni dei centoventiquattro presenti, ai voti, saranno piuttosto tiepide: 71 “placet”, 43 “non placet”, 62 “placet juxta modum”, 4 astensioni.
Nonostante la sostanziale bocciatura dei vescovi, l’assenso del Papa forzerà comunque l’entrata in vigore della messa normativa, che verrà solo leggermente modificata.
In risposta, nel giugno 1969, i cardinali Bacci e Ottaviani firmano il “breve esame critico”, una lettera aperta al papa in cui si evidenzia “un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i «canoni» del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del magistero”.
La lettera evidenzia innanzitutto l’irrazionalità di imporre un rito né voluto dal popolo cattolico, né approvato dai vescovi riuniti in Sinodo:
“Sostanzialmente rifiutata dal Sinodo Episcopale, quella stessa «messa normativa» oggi si ripresenta e si impone come “Novus Ordo Missæ”; il quale non è stato mai sottoposto al giudizio collegiale delle Conferenze; né è stata mai voluta dal popolo (e men che meno nelle missioni) una qualsiasi riforma della Santa Messa.”
Si contesta poi l’assenza di una chiara e inequivocabile definizione della Messa come sacrificio, l’omissione di riferimenti espliciti alla Presenza Reale, la distorsione del ruolo di Sacerdote e fedeli, la modifica delle parole della Consacrazione.
Paolo VI fece esaminare il testo a mons. Franjo Seper, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e più tardi artefice del dialogo ecumenico con la massoneria. Seper negò che il rito fosse problematico, e Paolo VI aggiunse semplicemente delle premesse all’ordo per fare chiarezza sui punti equivoci della nuova messa, in accordo con la dottrina cattolica.
Nel maggio 1970 il nuovo messale è pronto e imposto al clero e ai fedeli, non senza opposizioni. Nel 1971 in Gran Bretagna, ad esempio, una lettera aperta alla Santa Sede firmata da diverse personalità della cultura e dell’arte porterà al cosiddetto “indulto di Agatha Christie” (la scrittrice era presente tra i firmatari), uno speciale permesso accordato ai cattolici britannici che volevano continuare ad assistere al rito della Messa Tridentina.
Un rito ecumenico
Paolo VI nel 1965 aveva dichiarato che la riforma liturgica sarebbe stata “quasi il motore centrale del movimento [ecumenico]”, e più tardi Giovanni Paolo II continuava ad affermare che “l’unità tra tutti i cristiani era uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano secondo”, confermando la sua volontà di seguire la linea dei due pontefici precedenti.
Con la nuova messa la liturgia diventa strumentale al dialogo interreligioso. Così si spiegano l’eliminazione dell’espressione “perfidi giudei” nel rito del venerdì santo, la comunione sotto le due specie, la traduzione del Padre Nostro, l’impiego, a partire dall’istruzione Tres abhinc nos, dell’espressione ‘cena del Signore’ in riferimento alla Messa.
Nel 1966, Paolo VI aveva raccomandato di aggingere delle anafore al Canone unicamente per delle occasioni speciali. Le nuove preghiere eucaristiche, che oggi sono la norma, serviranno a controbilanciare il Canone tradizionale - una delle preghiere più antiche della Chiesa - che dava troppo risalto al carattere sacrificale della Messa, negato invece dai protestanti.
Le tre fasi in cui si può dividere la storia del movimento liturgico coincidono con tre diverse concezioni della Messa cattolica.
Nella prima fase, sotto Pio X, la Messa è il supremo sacrificio offerto a Dio: è per lui che la liturgia va curata e restaurata.
Nella seconda fase, con le sperimentazioni nei monasteri francesi, belgi e tedeschi, lo scopo della Messa è l'educazione e la devozione popolare: la liturgia viene dunque adattata al popolo, che deve parteciparvi attivamente.
La terza fase vede la realizzazione delle idee dell'ultimo Dom Beauduin: la messa diventa strumento di dialogo interreligioso. Con il pretesto di un presunto ritorno alle più pure origini del rito apostolico, si persegue piuttosto una sorta di superamento della cattolicità della Messa e del suo significato sacrificale, visto come un impedimento al dialogo con i protestanti e le chiese scismatiche.
A più di mezzo secolo dall'introduzione del novus ordo missae, i sogni dell'unità cristiana profetizzati da Dom Beauduin si sono avverati solo in parte. I cattolici sono diventati più ecumenici, ma né gli ortodossi né i protestanti sono diventati più cattolici.
Bibliografia.
Le mouvement liturgique - Abbé Didier Bonneterre
Annibale Bugnini - Yves Chiron
La réforme liturgique - Mgr. Klaus Gamber
Normes Pratiques pour les Reformes liturgiques - Dom L. Beauduin
La révolution liturgique - Jean Vaquié
Il Concilio Vaticano II, una storia mai scritta - Roberto de Mattei
Breve esame critico del «Novus Ordo Missæ» - card. Bacci e Ottaviani
La Dimension Oecumenique de la Reforme Liturgique - G. Celier.